Lisboa, 22 luglio 2020
“Al Portogallo arriveranno oltre 15 miliardi di euro. E all’Italia oltre 200. Un bel risultato, val la pena rendergli omaggio”.
Con queste parole il mio vecchio amico Eduardo de Carvalho, con il quale ho cominciato e finito la serata in un ristorante appartato dietro Praça do Comêrcio, mi aveva invitato stamani a festeggiare insieme l’accordo raggiunto sul Recovery Fund.
Capirai, Margherita, allora, perché ci metto così tanto tempo ad inviarti le puntate della mia storia del calcio AICS a Lucca: dopo una bottiglia di Rosso di Montalcino arrivata dall’Italia grazie al mio amico Stefano del Mecenate (un “Pian dell’Orino 2014, fantastico, che meritava tutte le mille attenzioni che gli abbiamo dedicato) ci siamo bevuti con la lentezza che si deve una bottiglia di Moscatel de Setúbal Bacalhôa 2014.
Insomma, manca il tempo per fare tutto, e poi non sono mai stato uno che si è ammazzato per finire le cose per tempo. Non sarei un pensionato quota 100, altrimenti.
Il moscato (non quello di Pantelleria, che come il lardo di Colonnata avrebbe bisogno di territori 10 volte più grandi per giustificare tutta la produzione che se ne racconta) per finire in dolcezza; una serata che tanti anni fa, quando ho conosciuto Eduardo nel mio primo viaggio in Portogallo, nel 1975, subito dopo l’esame di maturità e poco dopo la “Rivoluzione dei Garofani”, avrei passato a maledire gridando contro l’ennesimo tradimento dei governanti verso i loro popoli.
Già allora Eduardo era più riflessivo di me, e pur millantando improbabili lontane parentele con l’autore di “Grândola vila morena”, la canzone che il 25 aprile di 46 anni fa diede il via alla rivoluzione forse più incruenta della storia, più attendibile. Era poi, anche, un orgoglioso militante del Partido Socialista portoghese.
“Come lo sono adesso”, mi dice con enfasi, parlando ammirato del primo ministro del suo Paese, il socialista ed europeista Antonio Costa “che tutta la sinistra europea si chiede coma faccia, un leader di sinistra, a unirla e non a spaccarla”.
Forse perché ha provato a fare quello che ha raccontato al Corriere della Sera qualche anno fa: «In questi anni la politica si è appiattita sul dogma della parità di bilancio. Nessuno parlava più dei problemi della gente e gli estremismi hanno trovato campo aperto. Invece gli elettori devono poter scegliere tra modi diversi, ma non azzardati, per affrontare la globalizzazione, l’automatizzazione, il welfare, il terrorismo. Un modo democratico di destra e uno democratico di sinistra.”
Ecco, l’ho presa alla lontana, e se n’é andata quasi una cartella. Per dirti che in quel viaggio io e tuo padre eravamo insieme, e che oggi sarebbe felice di essere di nuovo qui. Non solo lui, anche Agostino e il Bruni, in questo posto ancora governato da socialisti, a festeggiare un socialista; e per dirti anche che la nascita del calcio AICS a Lucca a questi e ad altri dirigenti socialisti (Bernardi del Marginone, Aurelio Russo del San Gennaro il mitico presidente di allora Gigi Godini) è indissolubilmente legata.
Così andavano le cose a quei tempi, quando gli Enti di Promozione Sportiva qualcuno li chiamava ancora “Enti di Propaganda”, quando ogni partito c’aveva il suo ( e i socialisti stavano naturalmente in tre: la UISP, l’AICS e l’ACSI) quando l’associazionismo era spesso collateralismo e assoluto volontarismo, quando i corpi intermedi, forse anche per tutto questo, contavano qualcosa, e riuscivano a raggiungere anche grandi risultati.
Poi c’ero io, quasi pesce fuor d’acqua ma che come tanti reduci senza casa degli anni settanta, almeno da quella socialista non venivo cacciato. In quell’estate del 1982 ero andato a vivere a Veneri con una fidanzata pesciatina, bella come il sole. Continuavo ad arbitrare, da squalificato ex AIA, all’AICS di Pistoia con lo pseudonimo di Lucio Gagliozzo, irriverente storpiatura del presidente AICS di allora.
Detti mano a reclutare due delle 10 squadre che dettero origine al primo campionato di calcio amatori AICS a Lucca. L’Aramo Stil Car Pescia, i cui dirigenti furono convinti a venire a giocare a Lucca dalla mia fidanzata pesciatina e il 49ers, che un mio lontano cugino aveva creato per l’occasione e chiamato così per omaggiare la sua passione, la squadra di Football di San Francisco.
C’erano poi il Marginone, il Montescendi, gli Amatori Villa Basilica, l’Emerson Pieve San Paolo e quattro squadre dell’Oltreserchio, nate quell’anno nei paesi dove Agostino e tuo padre vivevano: Aquila Nozzano Bar la Ciocca, Pizzeria al Trenino Nozzano San Pietro, MCL Balbano, Arliano.
Le prime gare, leggo nella bozza del libro che al Comitato stanno preparando per celebrare l’imminente quarantennale, si giocarono domenica 31 ottobre 1982, con inzio alle 8,45, in contemporanea sui campi di Nozzano Castello e dell’Acquedotto (dove ora giocano le giovanili della Lucchese). Fabrizio Giuliani, ancora in attività, e Antonio Lotumolo, che nei campionati AICS ha fischiato il maggior numero di partite, furono gli arbitri che diressero le due gare.
Il campionato fu vinto dal Margione di Nicola Baldacci, con un punto di vantaggio sul Montescendi, fresco vincitore del Torneo di Nozzano. Al terzo posto l’Aquila Nozzano Bar la Ciocca. Ai 49ers andò la coppa disciplina.
Nicola Pazienza del Montescendi, con 13 reti, fu il capocannoniere, davanti a Pellegrini del Marginone, Vezzani del Villa Basilica, Inglese dell’Aramo, Fambrini dei 49ers, Martinelli del Trenino e Ferrenti del Nozzano, tutti con 9 reti.
Ranieri Rossi, con 20 presenze, fu l’arbitro che collezionò il maggior numero di gare dirette. Non erano molti quelli allora in attività presso il Comitato. Oltre a Ranieri detto il Bello, a Giuliani e Lotumolo, quell’anno arbitrarono Franco Angeli detto Manfredini, Luigi Lucchesi detto La Talpa, Lorenzo Landi detto Capitan Trinchetto e Mario Sarti di Altopascio. Dette una mano anche Luigi Gelli, dell’AICS di Pistoia, e ci fu l’esordio del primo arbitro fatto in casa, Mario Varsalona.
Una gara (il derby tra Balbano e Arliano) l’arbitrò anche tuo padre, pur giocando quel campionato con il Nozzano; era una domenica mattina che aveva finito di giocare la sua partita, e l’arbitro di quella dopo, Luigi La Talpa, era rimasto a letto. Furono le due squadre a chiederglielo: lo spirito dei tempi e l’approccio con cui si giocava quel campionato, lo consentivano.
Una partita, come Lucio Gagliozzo, l’arbitrai anch’io. Era primavera, sul campo di Altopascio si affrontavano il Marginone campione provinciale e una rappresentativa di tutte le altre squadre, con premiazione e rinfresco finale. Andai bene sul campo, ancor meglio nel dopo partita.
Già si pensava al campionato prossimo, che sarebbe iniziato ai primi di ottobre. Visto il successo del primo, molte squadre nuove chiedevano infatti di iscriversi. Io non avevo più la fidanzata pesciatina. Ciondolavo all’università, ero tornato a vivere a Lucca, e per darmi delle arie frequentavo concerti di musica classica e cineforum. Fu lì che conobbi una studentessa del conservatorio che abitava all’Isolotto. Mi trasferii a Firenze, e naturalmente cominciai arbitrare con l’AICS di quel Comitato. Ero Duccio Gigliotti.