Pagano si racconta e ci racconta l’ansia relazionale della nostra generazione, costretta a mettere “in bilancio” anche l’amore.
Welcome back to la nostra rubrica musicale – versione “alla scoperta di nuovi talenti”. Oggi non siamo a Lucca, a dire il vero non siamo nemmeno del tutto in Toscana ma mettiamo un piede un po’ più giù (parecchio più giù a dire la verità, quindi stretchatevi bene). Direttamente dalla Puglia ma per il momento sul suolo fiorentino, incontriamo Pagano, ricercatore, aspirante giurista ambientale, avvocato, suonatore un po’ di tutto, scrittore di complessi saggi accademici e anche di canzoni d’amore. Giovane trentenne (sì, a 30 anni ancora siamo in categoria juniores) sempre con la valigia in mano, dove mette vestiti, taralli e un po’ di malinconia.
Mario Pagano, in arte solo Pagano – come nella migliore tradizione indie. Dicci chi sei in un tweet:
Terrone maledetto. Ho trapiantato me stesso ma non i miei capelli. Faccio musica per posti piccoli e se non vieni ai miei concerti non sai Ketty Perry.
Quando hai capito che la musica sarebbe stata la tua fedele compagna per la vita? Chi ti ha avvicinato alla musica?
In realtà nessuno suonava in casa, la mia è una famiglia molto poco “musicale”. Non c’erano strumenti nel nostro appartamento e la musica la si ascoltava solo in auto. Tutto è iniziato guardando un film, da bambino. “La leggenda del pianista sull’oceano” di Giuseppe Tornatore. L’ho visto e subito dopo sono andato da mia madre per dirle “Mà, voglio suonare il piano”. E da lì è iniziato tutto. Riguardo alla fedeltà, spero di riuscire a rimanere fedele alla musica, dato che cambio idea molto (troppo) spesso. Finora devo dire che sono rimasto abbastanza fedele a questa “relazione”: dal 1997 a oggi, quindi direi che comunque è un rapporto quantomeno “consolidato”.
Sappiamo che hai una carriera accademica/lavorativa non trascurabile. Come coniughi la tua voglia di spaccare (musicalmente parlando…) con tutti gli impegni che il tuo lavoro richiede?
Infatti non la coniugo benissimo… I die trying. Molti vedono questo essere “poliedrici” come un vantaggio, io invece lo vedo come una condanna a cui la vita mi ha destinato! Lo vivo più che altro come un conflitto interiore fra due parti di me che si odiano molto e che si agitano entrambe per esprimersi. La mia parte accademico-giuridica vs la mia parte artistico-emotiva. E se non le “innaffio” tutte e due costantemente sto male. Se trascuro la musica impazzisco e mi sento troppo razionale. Rispondo male alla gente, sono scontroso, serio, arrogante (ma efficiente). Se invece suono troppo allora sono troppo “sciallo”, mi sento fancazzista, uno che non approfondisce e parla per sentito dire ed è una cosa che non sopporto. L’unico consiglio pratico che mi sento di dare è: scrivete una lista (non troppo lunga) delle cose che volete fare oggi. Poi prendete quella lista, fateci un aeroplanino e lanciatelo dalla finestra.
Ho avuto il piacere di ascoltare alcuni tuoi pezzi, che ho apprezzato molto da fan in generale del cantautorato “pulito” italiano al quale, mi sembra, tu tenga fede. C’è però molto di più (in primis un’indiscutibile qualità musicale che rimanda al jazz e al blues) – quali sono gli stili ma anche gli artisti che ti hanno influenzato di più?
In realtà ascolto di tutto, dalla trap al jazz “sofisticato” passando per l’indie, il rock e la dance. Però non suono di tutto. Non saprei come definire il mio genere, forse una specie di “indie-jazz” ma non tutti i miei brani sono blues o jazz… E poi non mi sento molto un jazzista, perché non sono abbastanza bravo al piano per potermi definire tale. A volte prendo in prestito dal blues e dal jazz dei suoni o delle strutture che “riutilizzo” in chiave pop-cantautorale. Sono cresciuto ascoltando i Red Hot e gli Articolo 31 (lo so che non si direbbe) mentre poi col tempo mi sono legato “pianisticamente” ai ritmi e alle melodie di Yann Tiersen, Bill Evans e Michel Petrucciani. Per quanto riguarda i testi, mi guardo molto intorno (e dentro). Ammetto di essere stato influenzato da Brunori Sas (specie per l’ironia nella scrittura) e Paolo Conte (di cui amo la capacità di non mandare messaggi ma di “descrivere” semplicemente una scena). E poi ci sono De André, Dalla e, per venire ai giorni nostri, Giovanni Truppi e Dimartino che mi piacciono moltissimo. Ah, e poi amo il funk con tutto me stesso!
“Ryanair” è il tuo primo singolo pubblicato – un pezzo brioso ma anche un po’ nostalgico, che racconta bene secondo me, la vita dei trentenni di oggi, obbligati, per una ragione o per l’altra, a vivere ancora da ventenni. Ma parliamone un attimo con serietà: quali sono le noie maggiori oggi, per noi giovani vecchi? E, senza fare come alcuni (tutti?) i politici che parlano solo dei problemi, che soluzioni abbiamo?
Guarda sinceramente non lo so. Io cerco di descrivere un po’ le cose che sento e quelle che vedo intorno a me. Muovendomi prevalentemente in contesti di “millenials” è chiaro che magari finisco per descrivere situazioni o scenari che sono comuni a tanti della mia generazione. Se vogliamo parlare di “noie” generali, io noto tanto carrierismo che non so quanto bene ci farà alla lontana. Oggi sembra che la totalità della nostra persona debba esprimersi nel lavoro e ritagliamo poco tempo per coltivare ciò che, secondo me, fa davvero la differenza, cioè “le relazioni”. Parlo di relazioni in senso lato, siano esse d’amore, familiari o d’amicizia. Parlando quindi di “soluzioni” credo che una potrebbe essere quella di educare all’importanza delle relazioni. Può sembrare una banalità ma la società spinge in senso opposto, cioè verso carriere al top e individualismo, quindi poi una persona che magari vuole rallentare e occuparsi anche di altro (o “degli altri”) comincia a pensare di essere sbagliata.
Nel tuo singolo traspare un romanticismo che però resta coi piedi per terra – “È che ad esser leggeri, poi si resta distanti e non si è manco contenti, del lavoro che c’è” è una frase che mi ha toccato molto e che ho interpretato un po’ come la costante tensione tra l’impegno “logistico” che richiedono molte relazioni oggi (ad esempio quello che descrivi tu nei voli, negli spostamenti ecc.) e allo stesso tempo il riuscire a lasciare spazio ai sentimenti, ai contenuti, al tempo per la condivisione quando di tempo sembra non essercene mai abbastanza “in questi mondi complessi”. Che cosa significa per te?
Son contento che tu abbia scelto quella frase perché secondo me è quella che racchiude un po’ tutto il senso della canzone. Per me significa esattamente quello che hai descritto tu, ossia lasciare spazio ai sentimenti e prendersi cura delle relazioni restando però con i piedi ben piantati per terra. Le relazioni sono una cosa seria e non vanno prese alla “leggera”, come molto spesso vedo. Molte volte le relazioni a distanza nascono proprio perché uno dei due partners risponde ad un’offerta di lavoro in un altro Paese, offerta che – solitamente – promette ottime condizioni professionali. Tuttavia, a volte, persino quel dream job che si è accettato a scapito di una relazione “vicina”, si rivela non essere un granché. E allora magari ci si ritrova senza partner e con un lavoro del c… Ecco, qui secondo me c’è tutta l’ossessione moderna di cui parlavo prima, relativa al voler rinchiudere la totalità della nostra persona all’interno dell’ambito lavorativo: cioè o sei “il massimo” professionalmente parlando, oppure non sei. Un tempo non era così, la felicità e la realizzazione personale venivano suddivise in più aspetti: lavoro ma anche passioni e relazioni.
Hai iniziato ad arrampicarti sui palchi dell’indie italiano proprio in un momento in cui i live sono drasticamente ridimensionati e molto spesso devono trovare nuovi formati per continuare ad esistere. Ma proviamo a vedere qualcosa di positivo: può secondo te, questo nuovo mondo pandemico creare nuove forme di espressione musicale?
Probabilmente sì ma non so quanto queste possano essere interessanti. La musica migliore nasce anche dal suonare “fisicamente” insieme ad altri (anche qui, “le relazioni”). Pensa se i Queen si fossero incontrati solo online… Anche i concerti in streaming francamente sono una roba inguardabile però non è colpa di nessuno in questo momento. “Addà passà a nuttata”, come diceva De Filippo. (Se sono cinico, devo esserlo fino in fondo no?)
Momento anticipazioni: cosa bolle in pentola?
Siete giusto in tempo..Il 18 settembre uscirà il mio prossimo singolo “Cara Giulia”, insieme ad un video che ho girato quest’estate in Puglia. E’ un brano molto intimo, con un arrangiamento estremamente semplice, che si sofferma su rapporti familiari molto intensi. Non vedo l’ora di farvelo ascoltare!
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